Ieri pomeriggio si è tenuta a Parma la presentazione dei miei libri dopo anni di “fermo” ed è stata un’occasione per me per fare ordine a tanti pensieri che da anni giravano nella mia mente, frutto di riflessioni leggendo le storie che mi arrivano per il mio blog o leggendo post dei miei contatti su Facebook.
Ma anche riflessioni che riguardano la malattia in generale, non nello specifico l’endometriosi.
Ringrazio Jessica per avermi dato questa opportunità e per aver organizzato questo incontro che ha arricchito tutte noi. Ascoltare il dott. Crovini parlare della malattia in modo “insolito”, poco medico e molto umano ha scaldato il cuore di noi tutte e per un attimo, lui è passato “dall’altra parte” facendosi paziente e noi siamo passate “dall’altra parte” provando a capire cosa c’è dietro ad un mondo fatto di lunghi tempi d’attesa, di interventi “a tutti i costi”, di diagnosi errate, di scarsa umiltà, di un sistema che ormai fa andare tutto velocemente, senza il tempo di ascoltare, riflettere.
Ringrazio Alessandro Pesci, il papà della nostra Serena che ieri pomeriggio è stato il papà di noi tutte, con calore e simpatia tipica fiorentina.
Averlo tra noi è stato per me un regalo prezioso.
Per chi non è potuto essere presente vorrei riassumere qui, brevemente, quello che è stato il mio intervento sperando che possa essere spunto di riflessione per tutte voi.
Vorrei che fosse una porta aperta verso il futuro.
Vorrei che cercaste di prendere le distanze dalla vostra condizione attuale e cercare di vedere la vostra vita da lontano, dando un’occhiata al passato e anche al futuro. Non solo al presente che spesso sentiamo tanto pesante.
Il titolo dell’incontro di ieri è stato: “Si può sopravvivere con il sorriso ad una malattia cronica?”
Eravamo indecise se trasformare questa domanda in un’affermazione.
Ma ho pensato che con un’affermazione non sarei risultata molto simpatica. Non è certo mia intenzione fare la perenne ottimista, colei che ha in mano la verità assoluta perché ovviamente non è così, ma pur tenendo presente che il percorso verso l’accettazione è personale e soggettivo, vorrei che tutte tentaste di accelerarlo con la consapevolezza che tutto questo è possibile. In tempi differenti, in momenti differenti, ma è possibile.
Credo che per farlo si debba necessariamente conoscere molto bene noi stesse. E avere ben chiaro chi siamo e cosa vogliamo. Può sembrare una frase fatta, ma non lo è.
Solo noi possiamo sapere cosa ci fa star meglio per esempio. Solo noi sappiamo come reagiamo davanti alle avversità, di cosa abbiamo bisogno nei momenti di sconforto.
E allora concediamoci il lusso di cercare di stare meglio, se non altro psicologicamente. Sto parlando di piccole cose, non di grandi progetti irraggiungibili. Sto parlando di leggerezza, di una chiacchierata con le amiche, di una cioccolata calda, di un programma televisivo, di una giornata al mare.
E se vogliamo esagerare, sto anche parlando di concretezza, di sogni realizzabili che possono essere tradotti in hobby, interessi, impegno.
Avere qualcosa da portare a termine che ci piace fare può essere una buona possibilità di distrazione.
Che sia giardinaggio, un corso di danza, dipingere, fare la volontaria in un canile piuttosto che in altre attività sociali, sono boccate di ossigeno.
Per me per esempio scrivere un libro è stata la mia salvezza. Mi ha distolto dal mio NEGATIVO, dalla mia condizione e frustrazione. Diventare volontaria APE cercando di convogliare la mia rabbia in qualcosa di positivo è stata salvezza.
Lasciare aperta la mente al mondo premia sempre, arricchisce. E tutte noi abbiamo bisogno di sapere che non siamo solo “la nostra endometriosi” ma di essere tutto un altro mondo intorno a lei.
Le abbiamo dato tanto spazio per troppo tempo. Tutto questo non deve essere per sempre.
Siete voi a decidere che importanza darle nella vostra giornata e nella vostra vita.
Siete voi che decidete quanto parlarne, quanto darle la colpa di ciò che non siete.
Nella fase iniziale è concesso, quando si ha sete assoluta di notizie, quando si ha urgenza di capire la sua evoluzione, quando si cercano storie da condividere, da sviscerare. Addirittura quando si cerca di capire la CAUSA … alzi la mano chi non ha almeno una volta cercato di capire leggendo le nostre storie cosa ci poteva essere in comune … un piccolo particolare che forse finora è sfuggito a tutti ma che basterebbe stanare per cancellare l’endometriosi dalla faccia della terra.
Tutto questo è normale che accada, anzi, non sarebbe normale il contrario. Informarci è il miglior atto d’amore che possiamo fare verso noi stesse.
Ma farlo cercando di mantenere un certo equilibrio a volte è difficile e farsi spaventare dalle storie più sfortunate è facile.
Cerchiamo però di non dimenticare mai che in tutta la nostra vita c’è capitato più volte di provare paura. Paura che l’aereo cada con noi sopra, paura di fare un incidente stradale, paura di non svegliarsi dopo un intervento, paura di cose sciocche.
Ma siamo ancora qui, vive e “fortunate”.
Questo “bilancio” deve servire a darci coraggio ad affrontare la vita.
Mi ha colpito molto questa frase: “ Un giorno la PAURA bussò alla porta, il CORAGGIO andò ad aprire e non trovò nessuno”.
Quella porta era uno specchio. Coraggio e paura nascono dalla stessa radice dentro di noi, sta a noi cercare il giusto equilibrio.
Tenete presente anche che chi non vive esperienze drammatiche raramente sente il bisogno di dirlo, su internet quindi troverete probabilmente molte più storie pesanti e dolorose rispetto a storie in cui fondamentalmente c’è poco da raccontare.
Con questo voglio dire che per esempio se è vero che siamo in più di 3 milioni di donne con endometriosi e nel mio blog ospito “solo” 600 storie è perché la maggior parte delle donne con endometriosi non sente il bisogno di denunciare, di urlare il proprio dolore. E se la legge dei grandi numeri può esservi di conforto, cercate di pensare che non necessariamente la vostra endometriosi sarà devastante e invalidante.
Non necessariamente perderete un rene come la storia che avete letto.
In ogni caso avrete uno strumento in più, quello della conoscenza. Ora che vi siete informate potrete meglio prendere in mano la vostra vita, potrete rivolgervi ad un centro specializzato e tornare dal vostro bravo ginecologo solo per problemi di “candide”. Saprete come prendervi cura di voi, come programmare le vostre visite di controllo, saprete migliorare la vostra alimentazione e il vostro stile di vita.
Saprete comprendere meglio la vostra condizione, saprete valutare se quello che vi occorre è un intervento o una cura farmacologica, senza subire passivamente una sentenza.
Saprete rivolgervi alle associazioni di pazienti per ogni dubbio o domanda, saprete che esiste una lista dei centri pubblici specializzati in endometriosi, che ci sono esami specifici che danno risposte specifiche e che tutto quello che occorre fare non è più “brancolare nel buio” ma ora si gioca a carte scoperte.
Saprete anche se il dottore che vi ha in cura è quello che fa per voi, se ha la vostra piena fiducia.
Saprete dare un nome a quel dolorino, saprete collocarlo all’interno del vostro ciclo mensile.
SAPRETE.
E dal punto da cui siamo partite, direi che è già molto, non credete?
Ma la conoscenza non cade dall’alto.
Bisogna investire in tempo e pazienza.
E’ di fondamentale importanza che voi cominciate a presenziare come pubblico a qualche convegno medico per esempio.
Le associazioni di pazienti ne organizzano spesso.
Sarà dura, la prima sensazione sarà quella di smarrimento. Di dolore. E quel senso di ingiustizia per ciò che vi è capitato non vi lascerà probabilmente mai. Ma ascoltando i massimi esperti parlare di endometriosi aiuta tantissimo a tranquillizzarsi. Piano piano vi sembrerà di saperne davvero molto. Saprete per esempio se il vostro ginecologo è in grado di curarvi, saprete se ciò che vi consiglia è davvero la cosa giusta per voi.
Oggi con internet è possibile fare tutto questo comodamente seduti sulla propria sedia di casa. Su YOU TUBE ci sono decine di videi sui due convegni nazionali organizzati dall’APE ed è possibile ascoltare e vedere tutti i relatori che hanno partecipato.
Nessuna scusa quindi per la troppa lontananza o per i troppi impegni. Sta a voi fare i conti con la vostra coscienza. Niente più.
Di questo ho parlato più o meno ieri a Parma.
Ho parlato anche dell’importanza di riuscire a dire NO.
Se ci rendiamo conto di non essere più le Wonder Woman che eravamo prima del manifestarsi della malattia, impariamo a dire NO.
Può essere la parola più bella del mondo, quella che ci salva dai “doveri” casalinghi, dai doveri “sociali”.
Non ne abbiamo voglia? Siamo semplicemente stanche? Non c’è bisogno di inventare grandi scuse. Si può essere sincere e rispondere agli altri o a noi stesse semplicemente con un NO.
Tutto può essere rimandato. Non dobbiamo giustificarci con nessuno, non dobbiamo dare spiegazioni. Basta un “non me la sento” e siamo state leali con noi stesse e gli altri.
E infine ho parlato del nostro “sesto senso” che altro non è quello che non ci diamo il tempo di ascoltare. Un pensiero concepito ma non partorito. Un pensiero che ogni tanto torna e ci apre gli occhi sulla realtà. Dobbiamo solo darci il tempo di ascoltarlo, analizzarlo. Raramente questi pensieri sono sbagliati o perdite di tempo.
Che sia la sensazione di essere in mani sbagliate, piuttosto che il sentore di non dover ripetere un nuovo intervento, date ascolto a voi stesse in tutta la vostra interezza. Non tralasciate niente e non ve ne pentirete. Per questo dicevo all’inizio dovete essere ben presenti a voi stesse e conoscervi a fondo.
Questo è il bagaglio di esperienza personale che mi sono fatta in questi anni con la mia malattia e la vostra. Non ho la presunzione di avere la verità in mano, ogni persona è diversa dall’altra e le nostre reazioni sono differenti, ma spero con queste righe di avervi trasmesso qualche spunto di riflessione che solo voi saprete come utilizzare.
Solo voi potrete decidere cosa fare della vostra vita, come renderla migliore e come darle un senso.
Non sprecatela. E’ troppo preziosa e più passa il tempo più vi renderete conto di non poterla riscrivere come avreste voluto.
Un abbraccio a tutte, ad ogni donna che ho visto piangere, ad ogni donna che ho raggiunto attraverso le mie parole, ad ogni donna che ce l’ha fatta e a tutte quelle che ancora arrancano alla ricerca di sé stesse.
Ricordate sempre che “un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno”.
Veronica