Mi chiamo Valeria, ho 36 anni e soffro di endometriosi. Ho scoperto di avere questa malattia dal 2009 anche se suppongo si sia sviluppata parecchi anni prima. Da sempre ho avuto forti dolori durante il ciclo e più volte sono finita al pronto soccorso senza avere una risposta concreta. I medici mi dimettevano senza troppi approfondimenti ed io leggevo sui loro volti espressioni di smarrimento o di superficialitá.
Nel frattempo ho trovato finalmente l’amore della mia vita, Oskar. Con lui ho trovato la serenitá che tanto cercavo.
Dopo un paio d’anni abbiamo condiviso l’idea di avere un figlio. Dopo un anno di tentativi, nulla.
Da quel momento mi sono sottoposta ad accertamenti approfonditi per capire davvero come mai non rimanevo incinta.
Dopo visite ed ecografie varie, il mio ginecologo mi ha consigliato di effettuare una laparoscopia esplorativa per capire quale poteva essere il problema. Fatta la laparoscopia ecco la diagnosi: “Endometriosi avanzata”. Dopo due mesi sono stata operata nuovamente. Avevo un’endometriosi al IV stadio..
Ho vissuto momenti di paura e insicurezza profonda: non sapevo a cosa potevo andare incontro, e nello stesso tempo ero consapevole che la mia difficoltá nel rimanere incinta era strettamente legata a questa malattia.
Dopo l’operazione, come per tante coppie nella nostra stessa condizione, abbiamo tentato la fecondazione artificiale. Mi chiedevo: serviranno questi sacrifici, serviranno tutti questi farmaci? Avra’ un senso lottare contro la natura?
Per due volte il risultato è stato negativo. Tutto ció è stato logorante sia per me che per Oskar che mi vedeva sempre più triste e priva di speranze. Perché quando scopri di avere una malattia come l’endometriosi, il destino che ti eri prospettata si frantuma in un solo colpo.
Il percorso di recupero è stato doloroso e molto complicato.
Ero molto chiusa in me stessa, avevo costruito davanti a me un muro per difendermi da ció che mi circondava. Mi sentivo a disagio a stare in compagnia altrui, nonostante solo poche persone sapevano della mia condizione. Mi sentivo inadeguata e come scrive Veronica, mi sentivo una donna a metá. Intorno a me vedevo amiche e conoscenti che aspettavano un bambino, facevano progetti di famiglia con facilitá ed io provavo tristezza e nel contempo invidia.
Le uniche persone con le quali avevo un rapporto erano i miei familiari. Solo con loro e con Oskar potevo essere davvero me stessa.
Ma lentamente stavo sprofondando in un buco nero, il solo luogo dove mi sentivo al sicuro.
Oskar mi è sempre rimasto vicino spronandomi a reagire… Era preoccupato e in pensiero per il mio stato d’animo. Non volevo che anche lui soffrisse più di quanto non avesse giá sofferto. Con il suo aiuto mi sono data una scrollata e ho cominciato a sollevarmi.
Ho partecipato cosí a un gruppo di auto mutuo aiuto, e come scrive Veronica sono rimasta di stucco nel vedere quante donne hanno la stessa problematica.
Ma, nella fase in cui ero, il gruppo non faceva per me. Avevo bisogno di uno spazio solo mio, dedicato a me stessa, ai miei sentimenti.
Ho iniziato cosí un percorso psicologico; mettersi nuovamente in discussione, e ricomporre il puzzle delle mie emozioni: é stata inizialmente davvero dura.
Ma poi ho considerato questo cammino come un’opportunitá. Ho affrontato temi e ricordi della mia vita che hanno influenzato il mio modo di essere e il mio modo di far fronte alle esperienze belle e brutte. Ho cercato con tutte le mie forze di affrontare la rabbia, il senso di smarrimento, la paura che l’endometriosi mi aveva lasciato dentro. Piano piano questi sentimenti si sono attenuati per lasciare spazio alla VITA vera e propria.
Come tante di noi hanno scritto, il percorso verso l’accettazione della malattia è lungo e doloroso.
Ognuna di noi a suo modo ci sta provando. Io credo di essere arrivata a un buon punto..
Ho capito che con l’endometriosi devo conviverci. Se prima “materializzavo” la malattia come un essere subdolo nel mio corpo, ora la immagino come una parte di me: una parte di me purtroppo disorientata, incapace di esprimersi in modo positivo.
E’ una parte che o si accetta o si subisce. Ho capito che è meglio affrontarla e quindi accettarla. Solo cosí posso essere protagonista della mia vita: godermi le persone a me care e le cose belle che mi interessano davvero.
Sono consapevole che ci saranno sempre delle fasi più “toste” di altre. Ma al momento, la cosa più importante è sapere di aver intrapreso la giusta direzione.
Un in bocca al lupo a tutte,
Valeria
Carissima non ti conosco ma sono molto fiera del tuo percorso.
Subire una condizione non è vivere.
Hai reagito, a fatica ma ce l’hai fatta e trasformare una cosa negativa in un’opportunità è assolutamente una vittoria.
Continua così, continua a “dialogare con te stessa” e sarai sempre in grado di aiutarti.
Ti abbraccio e ti auguro tante belle cose.
Veronica