Endo qui … endo là

Vorrei con questo post andare un po’ controcorrente e lanciare una riflessione.
Ho sempre saputo che questo mio full-immertion nell’argomento “endometriosi” sarebbe durato un periodo.
Io non sono la malattia, come mi ha insegnato l’Ape e non devo identificarmi con essa.
Certo, fa parte di me, ma non è il mio tutto.
Mi ha sempre dato fastidio anche solo chiamarla “Endo” … perché non è una mia amica, non le voglio dare la confidenza di chiamarla con un diminutivo.
Non ho mai amato essere classificata “endo-girl”, che fa tanto “ragazza pon-pon” … sorridente e saltellante.
Credo tolga rispetto alla condizione di malato. Lo dico senza autocommiserazione, senza alcuna voglia di crogiolarmi nella condizione di malata, poiché nonostante tutto, non mi sono mai veramente sentita tale.
Credo semplicemente le dia futilità.
Tanta fatica a far passare il messaggio che si tratta di una malattia seria e ora con una parola o un’immagine vengono lanciati messaggi che mi sembrano screditare anni di tentata informazione.
Ma funziona davvero così? Tutte le persone malate di una malattia specifica coniano nomi o slogan di gruppo?
Ci sono le Celiachine? Le Slaine? Le fibromialgine?
Fa sentire davvero meglio definirsi endina?
Sono cambiata davvero tanto io? Sto invecchiando? Voi come la pensate? Che rapporto avete con la definizione di malattia?
Veronica

19 pensieri su “Endo qui … endo là”

  1. Cara Veronica,
    sono perfettamente d’accordo con te, l’informazione intorno alla malattia va benissimo,la sensibilizzazione della società verso la sofferenza che molte donne sopportano a causa dell’ endometriosi,fisica e psicologica, è indispensabile.Ma non mi ritrovo affatto in questo modo di affrontare l’argomento, nei nomignoli da ragazze ” pon- pon” ,come hai perfettamente osservato tu, e credo anche io che si rischi di screditare la serietà della malattia.Come possiamo pretendere che ci si prenda sul serio e che , chi non sa di cosa parliamo, possa realmente comprendere quali difficoltà incontra una donna malata di endometriosi, se la descriviamo in questi modi, se ci affibbiamo nomignoli da cartone animato.Forse ad alcune serve per affrontarla meglio,a me no di sicuro.

  2. Sono perfettamente d’accordo con tutte voi.
    Questa cosa dei “nomignoli” rischia di minimizzare la malattia e di non prendere sul serio chi ne è affetta. E allora io che ho anche l’artrite reumatoide cosa dovrei fare, chiamarmi “endo-artritina”? Ma non scherziamo….

  3. Si, i diminutivi e i “vezzeggiativi” usati nei confronti di una malattia, mi sembrano quantomeno impropri. Nonostante ciò e nonostante la mia età (pensa che io scrivevo le lettere su carta con la penna e pure sulle pagine del diario!!), capisco che nell’era del TVB (e infinite variabili!) e dell’SMS e della mail..nonchè del famigerato 😉 feisbuc (Ovvero FB)… capisco dicevo, che chiamarla Endo…sia quasi inevitabile! Sò caratteri risparmiati!! ehehehe Quindi…tollero (e a volte…mi adeguo pure!). 🙂
    Quello a cui mi ribello vivacemente invece…sono le ragazze “endo-pon”!! Condivido le tue giuste osservazioni sul poco rispetto nei confronti di chi è malato. Questo raggrupparsi tutte sotto una definizione da..programma tv di quart’ordine, da un’immagine sbagliata della malattia stessa. Sul fatto che ad alcune serva per affrontarla meglio…boh..non saprei. A me piace sapere chi sono e che malattia ho e non vorrei mai avere un’etichetta. La consapevolezza forse passa da un percorso più difficile e doloroso, xkè prevede l’accettazione di quel che si è e di quel che si ha. Ma non è un percorso inutile. Xkè ti permette di nn aver bisogno di un’appartenenza ad un gruppo indistinto per affrontare quella che è la tua strada (e solo tua)… ma questa sono io. Tiziana, 48 anni, affetta da endometriosi… :o)

  4. Ciao Vero,
    io penso che chiamarla Endo sia solo un modo per abbreviare, anche se effettivamente per chi non conosce la malattia potrebbe essere un po’ straniante… io all’inizio non volevo essere indicata come endina, perché non volevo accettare la malattia ed essere etichettata in questo modo…poi ho capito che questi nomignoli rappresentano gruppi di amiche più che la malattia, perché magari l’amicizia è nata a causa della malattia, su facebook. Non credo che questo porti a svalutare la malattia agli occhi degli altri, anche perché comunque ci sono le associazioni che continuano a chamarci “donne affette da endometriosi”. Ma se il messaggio dev’essere che ci si può convivere, perché non provare anche un po’ a sdrammatizzare? Pensa che in Brasile Endometriosi si dice allo stesso modo “endometriose”, ed io sono iscritta ad un gruppo che si chiama “Endo-amigas de Sao Paulo”…insomma, la tendenza ad abbreviare c’è ovunque…ma non significa per forza che la malattia sia presa meno sul serio, anzi…le brasiliane, per esempio, si danno molto da fare per far riconoscere la malattia come malattia sociale.

  5. Il 26 Aprile ho fatto l’isteroscopia xchè avevo flussi menorragici daquando ho smesso la pillola che prendevo da5 anni senza interruzione.Poi mi hanno detto che ho l’adenomiosi,mi hanno tolto un polipo e messo Mirena,poichè alla pillolasono refrattaria hanno tentato,adesso spero che mi facciaeffetto sul ciclone anche sead oggi ho sempre perdite devo mettere l’assorbente,altrimenti devo rifare l’isteroscopia,toglierlae fare l’isterectomia.Ho 46 anni e 3 figli:mi chiedo com’è possibile tutto cio?Ho anchecisti al seno al fegato e adenomiomi alla colòecisti sarà stata la pillola?Comunque x me è tutto nuovo,sono perplessa….speriamo vadapresto in menopausa!

  6. Ciao Vero e ciao a tutte! Concordo con Veronica ed apprezzo il fatto di aver messo nero su bianco un pensiero che, a quanto leggo dalla maggior parte dei commenti che mi precedono, è un pensiero comune.
    Purtroppo non ci si rende conto che affibbiarsi dei nomignoli quali endo-girls, endometriosica, endo-amiche, endo-party e via dicendo, serve solo ad identificarsi maggiomente con la malattia e davvero tolgono tanta importanza ad una malattia che ancora oggi è sottovalutata. Sono reduce dal convegno di Ferrara, una 2 giorni stancante in cui ho ascoltato molteplici relazioni e dibattiti (consiglio a tutte di partecipare almeno una volta ad un convegno per rendersi conto di quali implicazioni comporti la malattia e per aver modo di ascoltare medici competenti) e nessuna di noi volontarie e partecipanti presenti al convegno, ha mai pensato di essere una “endo-girl” bensì una donna con una malattia cronica, seria e che nonostante tutto anche senza nomignolini, non ha perso il gusto di ridere e di godersi la vita per quello che le può offrire.
    Le stesse donne senza nomignoli apprezzano lo stare insieme per una causa comune, sono nate amicizie, complicità e condivisione. Se i gruppi on line hanno piacere di darsi questi appellativi, va bene così però credo che in generale non sia un nomignolo che ti porti a sdrammatizzare gli effetti di una malattia, bensì togliersi di dosso gli appellativi ed intraprendere la strada della consapevolezza e dell’accettazione sia quella giusta.
    Devo dire per essere proprio sincera del tutto, che anche quando sento dire continuamente “le apine- apette – apone” una piccola perplessità ce l’ho anche se mi fa sorridere di più, ma il messaggio che deve passare è che proprio come detto da Veronica, queste definizioni portano a sminuire anche il lavoro che si sta facendo per ottenere attenzione.
    E vi racconto questa per chiudere (la chicca finale) 🙂 :
    “Gentili colleghi, la cura per l’endometriosi ce l’abbiamo…esiste” ho pensato wowww, dai dai che voglio sentire così lo comunico subito su FB e mando sms a manetta, e messaggi… e mentre pensavo questo, l’illustre medico conclude il pensiero con:
    “… l’asportazione delle ovaie! Se “una” ha già avuto un paio di interventi, ha delle recidive e ve lo chiede, possiamo andare ad intervenire in questo modo e si risolvono i problemi”!
    Ma wowwwwwwwww, triplo wowwwww, avete capito ragazze?? Avete capito Endo girls, endo-bimbe, endo-sdrammatizziamo?
    Qui c’è poco da sdrammatizzare, c’è da rimboccarsi le maniche, aiutare le associazioni che hanno bisogno di sostegno e volontarie, di parlare della malattie in termini corretti e di evitare paragoni con altri paesi che hanno altre culture, altre abitudine, altra mentalità anche se per la stessa malattia!
    Scusate i toni (è sabato mattina, sono al lavoro, sono stanca, e devo partire per le ferie),
    ma credetemi che a fine convegno ascoltare certe cose, è stata una botta nello stomaco e ovviamente il medico in questione è stato interpellato per chiarimenti dala sottoscritta, ma sembra che io abbia mal interpreteto quello che avevo sentito…
    Saluti a tutte!

  7. Marisa, tu forse sei forte abbastanza per affrontare tutto questo, e per considerare la malattia solo e soltanto come tale. Io non la considero certo un’amica, né mi ci identifico. Non si può pensare sempre alle conseguenze peggiori, bisogna anche staccare. Io questi nomignoli non li uso, ma li comprendo. Endo-girl, endine ecc non differisce in nulla da apine e apette. (Endo-party non l’ho mai sentito 🙂 )…sono dei modi per identificarsi come elementi di un gruppo. “Endo” invece riconosco di averla usata come parola, anche perché la parola endometriosi mi è fortemente antipatica. Suona male, e la descrive benissimo in tutto il suo essere. Ma bisogna andare avanti giorno per giorno, e forse chiamarla solo “endo” me la fa sembrare meno pesante da gestire, la allontana da me. Ognuno ha il suo modo di vivere la malattia, di cui ti assicuro che conosco le peggiori possibili conseguenze. Ho perso la speranza, i capelli, il sorriso, la voglia di vivere per colpa sua. Avevo solo 23 anni. Poi ho iniziato a pensare a lei come a un qualcosa di relativo. C’è, “va bene”così. Non me ne faccio una malattia (lo so può sembrare un paradosso). Se ci fosse una cura le cose starebbero in un altro modo, ma non esistono, e bisogna conviverci. Non è un’amica, ma lottarci contro è fatica sprecata. Ovviamente io mi riferisco a me stessa, non pretendo di generalizzare. Riguardo al volontariato, so che non ci si può improvvisare volontarie, e non tutte sono tagliate per esserlo. Ad ogni modo credo che le associazioni siano una cosa, i gruppi su facebook un’altra. Su facebook ci si entra per altri motivi e magari poi si passa a salutare delle amiche che condividono lo stesso problema. So che questo non rientra nella filosofia dell’ape, ma è una realtà. D’altra parte sulla pagina dell’associazione bisogna comunque limitarsi, altrimenti il messaggio che passa rischia di sembrare un messaggio dell’associazione, un messaggio ufficiale in qualche modo. Si usa “endo” per riferirvisi abbreviando, per non sottolineare la sua presenza, per non ribadirne la potenziale pericolosità. Lo si fa con semplicità, non c’è nulla dietro. Per quanto riguarda il Brasile è una cultura che conosco abbastanza, ma questo c’entra poco. Il mio era un paragone di tipo linguistico: la stessa parola, composta dalle stesse sillabe, che si pronuncia nelle stesso identico modo in un’altra lingua neolatina, viene abbreviata allo stesso modo. E dalle malate, non da altri. Forse noi donne siamo così, cerchiamo di abbellire sempre tutto, anche ciò che bello non è. Insomma, potremmo cercare mille giustificazioni e forse tutte avrebbero un loro senso. In realtà probabilmente esistono semplicemente due filosofie, due modi di vedere e interpretare, di vivere e di prendere la stessa cosa, e ciascuno si colloca dove si sente più comodo, altri si accomodano nella via di mezzo. La consapevolezza ahimè è presente in entrambi i modi di prenderla. Non ti devi scusare di nulla, confrontarsi è piacevole e aiuta a riflettere.

  8. In questi anni di studio ho capito che a volte entrando nei meccanismi di un’altra cultura è possibile intendere meglio la propria. Partendo dal presupposto che siamo nell’epoca dei social network, che hanno un linguaggio particolare, bisogna considerare che anche la nostra vita fuori dal contesto virtuale è influenzata da tutta una serie di neologismi o di parole che un tempo non venivano utilizzate o erano utilizzate con scopi diversi, come ad esempio connettersi, chattare, contattare, ecc…C’è anche chi non è amante di queste influenze, ma prima di cercarle di negarle, è orse necessario fare uno sforzo, accettarne l’evidenza e tentare di capire. Il fatto che Vero abbia ritenuto opportuno far risaltare questo punto è probabilmente dovuto all’evidenza della sua esistenza. Quindi qui possiamo trovare anche cento pareri concordi, ma basta aprire un Social per rendersi conto di come alcune parole siano ormai di uso comune. Dal momento che quello linguistico è il mio campo, ho ritenuto interessante fare una piccola ricerca e chiedere alle donne affette da endometriosi di San Paolo (Brasil), come mai usino proprio questo termine, “endo”, per riferirsi alla malattia. San Paolo è una megalopoli di circa 13 milioni persone. Si tratta di una città ricca, evoluta, moderna. Le donne sono indipendenti, possiedono auto e lavorano, passano ora nel traffico e il week end raggiungono le proprie case al mare o vanno nei quartieri ricchi di locali per fare aperitivi, cenare fuori, andare a ballare. Lo stile di vita è dunque molto simile a quello delle donne europee. In particolare, la somiglianza con la cultura italiana è molto forte, e ciò è dovuto anche alla forte presenza di cittadini italiani che, senza tener conto di tutti i discendenti, nella sola San Paolo raggiungono i tre milioni di persone. Per quanto riguarda le malattie croniche, in Brasile vi è un “Plano de Saude”, “piano di salute”, all’interno del quale sono incluse molte malattie croniche la cui spesa è a carico dello Stato. L’endometriosi non compare ancora, a detta delle malate stesse, a causa del fatto che è una malattia “nuova”, ancora poco conosciuta insomma. In Brasile vi sono medici molto bravi, infatti, se ci fate caso, i calciatori tornano in patria a farsi curare. Ovviamente vi sono delle forti differenze tra cliniche private e ospedali pubblici, poiché le differenze tra ricchi e poveri sono fortissime. A San Paolo i ricchi girano in elicottero e i poveri non hanno nulla, nemmeno i denti. Le visite specialistiche per endometriosi fatte dai pochi medici veramente specializzati e in grado di gestire la malattia, costano circa 400 euro…inserisco un link dove le “endo-amigas” sottolineano proprio questo aspetto: http://www.youtube.com/watch?v=Sia3CEbuv7U&feature=youtu.be. Considerate che 400 Reais equivalgono circa a 200 euro, e che c’è gente che guadagna anche solo 400 Reais al mese. Per loro i costi da sostenere sono veramente astronomici. Inoltre neanche gli interventi sono sempre coperti dal Plano de Saude…Vi invio anche l’indirizzo del loro blog http://www.eutenhoendometriose.blogspot.com/ e del canale youtube con i video informativi http://www.youtube.com/user/endoamigas#p/u/3/NxNIg8VfBBY. Detto questo, le ho interpellate per sapere come mai usassero la parola “endo” e le loro risposte sono state queste:

  9. Io ho chiesto loro se potevano cercare di spiegarmi la scelta dell’uso di “endo” al posto di “endometriose”, cosa significasse tale scelta per loro, se pensano che possa danneggiare nel fare informazione o che possa sembrare futile, se usano tale parola anche nel linguaggio parlato o solo nei social networks. Le loro risposte sono state: “Aqui consideramos o termo “endo” como uma abreviação para a palavra “endometriose”. Usamos o “Endo” como forma de nos aproximar e nos identificar no sentido de termos a mesma doença, assim se falamos,”EndoAmigas”, sabemos que se trata de um grupo de amigas que tem endometriose. A partir daí começamos a brincar com o termo, por exemplo, falando “EndoChata”, que seria uma forma de lembrar que ter Endometriose é muito chato! Assim, aqui, a abreviação do nome da doença para “Endo” não tem uma conotação simplista e nem tira a seriedade da doença. Pelo contrário, é uma forma de chamar a atenção das pessoas leigas sobre a importância da Endometriose. Assim se alguém lê “EndoAmigas”, vai se perguntar: “Que grupo de amigas é este”? E daí nós conseguimos falar sobre a Endometriose. Da mesma forma fazemos com a palavra Menstruação. Temos vários apelidos e formas de nos referir a ela. Por exemplo: falamos “monstra”, que é uma palavra próxima em grafia de “menstruação”, mas que ao mesmo tempo mostra como a encaramos: como um “monstro”! As abreviações são importantes porque nos identificam e nos aproxima como grupo, como se criássemos um dialeto próprio de quem tem a mesma doença! Ok?”,”A forma abreviada desta doença terrível, e os “apelidos” carinhosos relacionados à ela, nos aproxima e faz com que consigamos vê-la de uma forma até lúdica, não é mesmo? Jamais minimizando sua gravidade ou a seriedade com que estamos nos empenhando em divulgá-la, para que mais mulheres possam discutir de igual com seus médicos”, “Com certeza, o lúdico tem tudo a ver com estas abreviações, e até nos ajuda a encarar esta doença que não é nada fácil!!! Aliás, a brincadeira e o riso são ingredientes comprovadamente importantes para a recuperação de muitos pacientes! E dizem que até para quem faz FIV!!!”

  10. Traduco: per loro è solo una forma abbreviata, e giocano con questa parola anche al fine di utilizzarla per sentirsi parte di un gruppo come le endo-amigas. “Chato” vuol dire una cosa brutta, noiosa, e chiamano l’endometriosi anche “endo-chata”. Secondo loro “endoamigas” non toglie serietà alla malattia, anzi, attira l’attenzione, perché chi legge può chiedersi cosa questo significhi ed incuriosirsi sulla malattia. Un fatto curioso è che molte di noi italiane usano anche il termine “mostro” o “bestia” per indicarla, e le brasiliane usano la parola “mostro” (al femminile in portoghese) per indicare, abbreviando, la parola mestruazione. Infine per loro sorridere è molto importante, e aiuta nell’affrontare qualunque malattia, e anche la fivet. Mentre vi scrivo continuano i loro commenti, e una ha appena scritto: “Com certeza, em todos os aspectos, rir ainda é o melhor remédio!!! Adorei os “apelidos” da horrenda endo (perdão pelo trocadilho rsrsrs) e acabei rindo de mim mesma! Adoro! Bjus”. Traduzione: “Di certo, sotto ogni aspetto, il sorriso è il miglior rimedio!!!Adoro i nomignoli dell’orrenda endo (scusate il gioco di parole) e ho finito per sorridere di me stessa! Li adoro! Baci”. Spero di non avervi annoiate. Vero se riterrai il caso di tagliare delle parti dato che sono in portoghese fai pure. Concludo dicendo che ci sono luoghi e luoghi, spazi e spazi, e all’interno di uno spazio, reale o virtuale che sia, purché non si vada a ledere i sentimenti, la dignità, o il diritto altrui, ognuno deve essere libero di esprimersi nel modo in cui si sente meglio. Ovviamente ci sono contesti diversi, ed è ovvio che un medico utilizzerà un termine scientifico, così come noi con un medico non ci sogneremmo mai di dire “endo” anziché “endometriosi”. Io appoggio in pieno la campagna di informazione, ma sapete, ci sono altre “malate” di endo che ci detestano per questo. Ci sono malate che non ritengono la malattia così grave, e soprattutto non vogliono che si sparga la voce nei loro posti di lavoro che ciò che loro hanno sempre descritto come un semplice disturbo delle ovaie, sia una malattia a volte invalidante. Non vogliono, e magari si sentono danneggiate dal lavoro delle associazioni. Io non condivido, ovviamente, ma esistono. E forse chissà, un giorno, per motivi di lavoro, arriverò anche io a negare la mia condizione pur di non perderlo. Insomma, c’è sempre l’altro lato della medaglia, e non esiste il giusto e lo sbagliato. Ci sono solo tanti svariati punti di vista, e fare dell’ironia sull’opinione altrui, senza nemmeno aver fatto lo sforzo di provare prima a capire, non mi sembra l’atteggiamento proprio di una presidente di un’associazione. Scusami Marisa, non te la prendere, ma lo penso e lo dico.

  11. Ciao Noemi, mi ero ripromessa di non intervenire più su questo argomento, per lasciare spazio alle vostre opinioni e a tutti i vostri punti di vista.
    Volevo però ringraziarti per i tuoi commenti e per il grande lavoro che hai fatto per portare a conoscenza di tutte noi come viene vissuta la malattia in realtà lontane.
    Io non conosco l’inglese e sono sempre molto “castrata” in questo. Mi sono spesso chiesta a che punto fossero negli altri paesi
    Mi ha colpito tuttavia una frase che hai scritto di ben altro argomento e volevo dirti la mia al riguardo poiché ho fatto parte del Consiglio direttivo APE e mi sono sentita chiamata in causa.
    Hai scritto: “ Su facebook ci si entra per altri motivi e magari poi si passa a salutare delle amiche che condividono lo stesso problema. So che questo non rientra nella filosofia dell’ape, ma è una realtà.”

    Credo che qui si faccia confusione. Ci mancherebbe che passare a salutare amiche di altre associazioni non rientrasse nella filosofia Ape! Nella filosofia Ape ci sono grazie a dio ben altre finalità!
    Quello che non è stato apprezzato in passato è che associate volontarie e attiviste, alcune addirittura responsabili di gruppo APE, aderissero a gruppi su Facebook come quello di chi pubblicizza guarigioni miracolose a suon di 20.000 euro … o che venissero pubblicizzate iniziative organizzate da altre associazioni ecc.
    Niente in contrario nel fare informazione, se è questo che si vuole fare, si resta NEUTRI e si pubblicizzano eventi organizzati da tanti.
    Apprezzo nello stesso modo chi pensa questo. Ho tante amiche tra i miei contatti che non se la sentono di associarsi a nessuna associazione ma che pubblicizzano volentieri le iniziative di tutte.
    Tanto di cappello e a loro va la mia stima per questa presa di posizione che al di là di ogni senso di appartenenza, ha come risultato quello a cui tutte noi teniamo: FARE INFORMAZIONE.
    Ma se ti associ perché appunto senti di appartenere a questa associazione, ci credi, partecipi, organizzi, metti la tua faccia, fai un percorso formativo, partecipi agli incontri e convegni, investi tempo libero e denaro in qualcosa in cui credi e che vuoi far crescere e poi te ne vai sulla tua bacheca e pubblicizzi eventi organizzati da un’altra associazione, è chiaro che ci si rimane un po’ male … in quanto capisci che non sei veramente “stata scelta” perché quello che fai è speciale, condivisibile e apprezzato.
    E’ considerato un piccolo fallimento, perché probabilmente allora vuol dire che non sei riuscita a trasmettere quello che rende la “tua” associazione, unica e speciale. Questo è il rammarico. Non sei riuscita a trasmettere quel senso di appartenenza che produce energia positiva, che può smuovere le montagne e tanto può fare per tutte noi se le forze concrete vengono unite.
    Credo insomma che venga a meno una sorta di “fedeltà” che ci si aspetta quando si collabora a progetti comuni.
    Ma queste sono considerazioni che dovrebbero a mio parere venire da sé, perché così dice il “buon senso”, perché se ci tieni alla TUA associazione il tempo libero che hai e le tue energie le spendi per farla crescere, per usare i mezzi che ti mette a disposizione per sostenere altre donne, per cercare concretezza.
    Anche se sono mondi diversi ed esempi diversi, non si è mai visto che una ditta che vende materassi Superflex abbia i dipendenti che nel tempo libero pubblicizzano i materassi Ondaflex.
    Non ci vedo niente di strano quindi se si è chiesto un po’ di “ordine” e di dare un’immagine chiara e non confusionaria.
    Concludo con una frase che ho letto in giro e che mi è piaciuta molto: Noi siamo le parole che usiamo.
    Ciao!
    Vero

  12. “So che questo non rientra nella filosofia dell’ape, ma è una realtà”. Vero volevo intendere che non rientra nella filosofia dell’ape abbreviare la parola “endo”. Comunque scritto così effettivamente può sembrare altro. Volevo dire che se una va e scrive “endo” sulla pagina dell’associazione sembra che è l’associazione stessa a identificare la parola endometriosi alla sua forma forma abbreviata. Io concordo sul fatto che l’associazione prenda le distanze dall’uso di vezzeggiativi, essendo una pagina ufficiale. Ma credo anche che tra amiche si possa usare un linguaggio particolare, per sentirsi parte di un gruppo. Io le vedo due cose molto separate. Sono associata solo all’ape, ma faccio anche parte di altri gruppi sui Social network. Uno è costituito dalle romane, che, senza liberamente, organizzano endo-pranzi, endo-merende, endo-pizze. Non vi è nulla di ufficiale, si tratta solo di amiche che si sono conosciute su facebook, che hanno in comune la malattia e vivono nella stessa città. Immagina se creassero l’evento: “pranzo delle donne affette da endometriosi”. Sarebbe un po’ pesante, no? Un altro gruppo è un gruppo segreto neutro, al quale mi ha aggiunta una ragazza conosciuta in ospedale. E l’ultimo è un gruppo in qualche modo legato ad un’altra associazione, di cui però non sono associata. Dello stesso gruppo esiste anche la pagina dell’associazione ma non ne sono iscritta, né al blog o al sito ufficiale. Sono legata a molte ragazze che ne fanno parte e mi piace confrontarmi con loro. E poi vi è la pagina delle brasiliane. Mi piacciono i gruppi perché ciò che scrivi, a differenza di ciò che viene scritto nelle pagine delle associazioni, non appare nelle bacheche dei propri amici. Se posso dare un suggerimento, io consiglierei di creare un gruppo, oltre alla pagina ufficiale, dove ci si possa scrivere in maniera un po’ meno vincolante, perché a volte si ha solo voglia di condividere momenti di vita quotidiana, informazioni che sulla pagina ufficiale sarebbero fuori luogo. Sulla partecipazione attiva non concordo in pieno con te, perché credo che ci siano fasi e fasi nel proprio rapporto con la malattia, e ci sono dei periodi in cui si ha solo voglia di staccare. Per dirti, io adesso dovrei prenotare il controllo, ma ogni giorno rimando perché non mi voglio mettere questo pensiero…

  13. Noemi, per carità! Non credo che apriremo altri gruppi! C’è quello dell’associazione, basta e avanza e ciclicamente si valuta se chiuderlo!
    Se c’è il desiderio di confrontarsi in modo leggero, ci sono appunto gruppi a volontà, non ha senso aprirne un altro.
    In quanto a quello che dici sulla partecipazione attiva … beh … non ti seguo.
    Chi prende un impegno come associata attiva, non credo che “stacchi” dedicandosi ad altri gruppi e ad altre associazioni.
    Capita a tutte passare dei periodi in cui si ha voglia di staccare. E’ capitato anche a me. Per questo non faccio più parte del consiglio direttivo dell’APE ma non per questo mi dedico ad altre associazioni pubblicizzandone gli eventi.
    In ogni caso non voglio diventare pesante perché alla base di tutto c’è la TOTALE LIBERTA’ d’azione e di pensiero, ci mancherebbe altro.
    Io parlavo di correttezza e buon senso … ma quello che reputo sensato io, evidentemente può non esserlo per altre persone.
    Se è nato questo post di riflessione è proprio perché uno dei miei contatti maschili che non conosceva la malattia vedendo la mia bacheca di Facebook, con eventi taggati da altre persone, mi hanno confidato di pensare che gli “endo-divertimenti” (endo-pizza, endo-aperitivo ecc) fossero raduni di un qualche movimento femminile culturale … non hanno pensato certo ad una malattia seria e invalidante.
    Da qui è nata la riflessione e mi sono chiesta se forse non fosse il caso di chiamare le cose con il loro nome.

  14. Anch’io come te non non pubblicizzo eventi, ma vengo invitata. In particolare non pubblicizzo ciò che è legato all’endometriosi perché non mi va più di invadere le bacheche dei contatti con informazioni di cui li ho ampiamente subissati e alle quali non credo siano interessati. Stessa cosa vale per la pagina A.p.e., poiché ho scoperto che facebook include nelle bacheche dei contatti anche i commenti che vengono fatti, e pertanto non mi sento liberissima di esprimermi, passo per lo più al messaggio privato. Comunque, per quel che può valere, eliminare la pagina è un errore. Io vi ho trovate così, e chissà quante altre come me…Al momento il mio staccare è in un certo senso proprio lo staccare dal pensare alla malattia seria e invalidante. Come so che può diventarlo, so anche che al momento la mia endometriosi non lo è. Non voglio star lì a pensare a come sarà la mia vita dopo il prossimo intervento, anche se già so che ci sarà. Ho fatto due anni senza riuscire ad avere rapporti per poi scoprire che anche se all’inizio non ci riuscivo per il dolore, alla fine era diventato per la paura del dolore, per la paura della malattia, ecc…ho passato due anni tra medici di tutta Italia, a cadenza quasi mensile. Visite, ecografie, due RM in quindici giorni. Prelievi, diete, cure ormonali con vampate e altri assurdi effetti collaterali, soldi che se andavano, ansia, depressione, tachicardia, attacchi di panico e la situazione della malattia era sempre stabile. Nè meglio, nè peggio. Ora va molto meglio, nel senso che mangio ciò che mi va, se l’intestino si infiamma lo ignoro, i dolori li schiaccio con gli antidolorifici. Non è che stacco pensando di non averla più, ma convincendomi che sia solo un qualcosa che è lì e che non mi porterà alla morte, e che se un rene se lo vorrà portar via lo farà anche se io nel frattempo mi sarò distrutta mentalmente. Al momento non ce la faccio a dire che la malattia è invalidante perché io stessa mi rifiuto di accettarlo. E mi rifiuto dopo aver cercato, credendoci fermamente, di convincere le persone intorno a me, come i miei cari ad esempio. Non ha funzionato, molti non sono proprio interessati e si rifiutano di capire. Sono stanca di questo Vero…sono andata a far un colloquio per un tirocinio, volevano che andassi lì in determinati giorni in cui non c’ero perché sarei stata a Verona a fare delle visite. Ingenuamente ho nominato il fatto di dover fare delle visite e la tipa ha sgranato gli occhi!!! Perché devo lottare per dire a tutti che ho qualcosa che nella vita mi porterà solo guai, dolori, delusioni e sarà solo fonte di discriminazione? Sull’essere attiva, probabilmente io non ho inteso cosa significhi far parte di un’associazione, credevo che la cosa fosse molto diluita, e che ognuno potesse partecipare in maniera attiva solo quando se lo sentisse. Avevo anche capito che non era una cosa così facile, improvvisarsi volontarie ecc e che si poteva fare anche più danni se non si aveva la giusta consapevolezza della malattia. Io al momento preferisco coprirla col silenzio, e so quanto questo sia rischioso ma ad un certo punto ho scelto di sentirmi normale e mi rifiuto di sottopormi a visite, prelievi e quant’altro per un po’. Sarà una fase, forse mi creerà ancora più danni nel frattempo, ma vedo la luce dopo tanto tempo e non importa se sarà così solo per un periodo. Forse dovrò sbatterci la testa…insomma, ti sembro la persona ideale per fare volontariato in questo senso adesso? Mi interessa molto più il discorso prevenzione e quello dell’esenzione, ma per quanto riguarda la consapevolezza, sapendo quanto è doloroso raggiungerla e poi superarne gli effetti, non credo che potrei essere molto utile al momento. Preferisco che lo facciano volontarie esperte, che sanno usare le parole giuste e che sono affiancate dagli psicologi. In fondo anche una parola sbagliata può spingere qualcuno alla depressione e spero che chi si approccia adesso alla malattia abbia veramente la forza di non lasciarsi sopraffare, ma si ricordi che la vita è fatta da tanto altro e va vissuta appieno finché il nostro corpo non ce lo impedisce. Quando ho i dolori penso a questo, e mi sembra di riuscirli a gestire meglio, mi sembra che la mia mente abbia ripreso a dominare e in qualche modo riesca persino a contenerne gli effetti. Non so se sia autosuggestione o solo fantascienza, ma per me ora relegare l’endometriosi in un angolo è la migliore medicina. Il tuo amico dev’essere una di quelle persone “legais” (legal: interessante, simpatico) a cui si riferivano le “endo-amigas”, che credono che il loro nome, proprio perché singolare, abbia il potere di incuriosire e spingere a fare domande. Vero io ho cercato di rispondere alla tua domanda, e cioè se il fatto di chiamarsi “endina” ecc, faccia veramente sentire meglio. Ho provato a spiegare il mio rapporto con la malattia e ad avere anche spunti diversi. Avrei potuto limitarmi a dire che è giusto che le associazioni chiamino l’endometriosi con il proprio nome, invece ho trovato sacrosanto il tuo voler porre la questione per cercare di capire, pur avendo premesso di non condividere la cosa. Probabilmente essendo la malattia una faccenda molto soggettiva, che invade e stravolge del tutto la propria sfera personale, ognuna di noi ha un modo di rapportarvisi diverso, che cambia anche nel tempo, a seconda dell’età e a seconda delle esperienze che le capitano. Io un opinione netta ancora non ce l’ho, ci devo ancora lavorare su per capire quale sia il modo migliore di viverla, per ora vado avanti a tentativi 🙂

  15. Molto interessante e toccante il tuo intervento Noemi. E ti ringrazio per esserti aperta così e per aver tentato di rispondere al mio quesito. Inevitabilmente ha scavato dentro di te e spero che non ti abbia portato sofferenza, più di quella che già c’è.
    Anche io amo pensare che “sarà quel che sarà”. Quello che possiamo fare è tenerci controllate e fare il possibile per amarci in ogni modo, poi … chi conosce il futuro?
    Avanti così.
    Concludo chiarendo che associarsi APE non implica necessariamente volontariato. Associarsi e avvicinarsi ad un’associazione è anche (e soprattutto) per ottenere informazioni, sostegno. Gli esempi che facevo io erano riferiti invece a chi ha SCELTO di diventare associata volontaria, quindi di mettersi al servizio con la propria esperienza facendo un percorso formativo all’interno dell’associazione.
    Un bacione e grazie ancora per il tempo che ci hai dedicato cercando di sviscerare questo argomento!

  16. ciao a tutte.. non ho letto tutti i commenti…bene.. allora mi sento più vivina alla prime e.mail di riflessioni di Noemi,.. cioè sui nomignoli… pure io da giovanissima, ho scoperto di avere l’endometriosi e non avevo capito bene cosa fosse.. il calvario..lo conosciamo più o meno tutte.. inizilamente mi dava fastidio pronunciare le parole “malattia cronica benigna, endometriosi”… perchè non la volevo.. poi col tempo capici che anche se non l’hai invitata, ce l’hai in corpo, come hai in corpo l’emoglobina e tante altre cose…hai anche l’endometriosi… dire endo, endo-girl, endine,,,ecc,, è un linguaggio che si usa tra noi che abbiamo l’endometriosi..è un parlare fitto,fitto tra amiche… complici dello stesso problema.. nessuna di noi se parla davanti ad un medico o a chi non conosce la malattia, direbbe “ho l’endo”.. ma tutte noi diciamo “sono affetta da endometriosi..severa ..o meno” quindi credo che non ci sia nulla di male ad usare abbreviazioni o altro.. pure io o i dott. dicono ciclo e magari non sempre mestruazioni…che pare già dalla parola una tribolazione!ahhhh.. quindi penso che non siamo riconosciute, non per le parole o diminutivi che usiamo, ma perchè tutte le battaglie, e tutte le cose sconosciute o poco conosciute,complesse…si devono “riconoscere”..e questo riconoscimento dall’esterno non è facile.. un po’ noi facciamo le “forti”.. pure io , mica quando vado dal dott.dico “dottore ho dolori lancinanti,che mi sembra di morire”.. perchè non voglio passare x esagerata, perchè non voglio far vedere che sto tanto male..così noi tutte siamo abituate a minimizzare… a tirarci su le maniche,perchè contro questa MALATTIA..serve tanta forza!! Le associazioni sono nate come gruppi di sostegno , da donne che hanno sofferto molto e che si sono rese disponibili, con tanto impegno e volontà, a diffondere associazioni .. per aiutare gli altri.. non tutti ne siamo capaci.. non tutte siamo capaci di esporci e di raccontarci come ha fatto Veronica…. ma ognuno di noi..penso debba dare quello che si sente..c’è chi può scrivere, perchè le riesce meglio che parlare (io ad es) chi invece ti sostiene guardandoti negli occhi, chi traducendo articoli su endometriosi scritte in altre lingue… insomma, ognuno darà quello che potrà e che si sentirà.. ognuno sceglierà l’associazione che lo rappresenta di più, che è più vicino a dove abita geograficamente…
    l’importante è che ognuna di noi , in primis, senta l’endometriosi come una malattia da curare, da diffondere,,,, non da tenere nascosta… non abbiamo la peste..abbiamo l’endometriosi!!!!!!!!

  17. Ciao Veronica e tutte le altre!! Belle le tue parole Vero, come non essere d’accordo se si parla di una malattia così seria e così dura come la nostra, ma io per prima che ci convivo da 21 anni la nomino per intera quando ne parlo con chi è fuori dal gruppo e i vari termini non mi dispiacciono se usati fra di noi che sappiamo bene a cosa ci riferiamo e non fanno niente di piu’ che unirci ed accomunarci in una malattia lunga da pronunciare, quindi Endo è solo un’abbreviazione per noi che la conosciamo. Certo le ragazze pon pon sono altre, non mi ci sono mai sentita, un po’ oche e un po’ veline ma solo per immagine, chissà quante ragazze pon pon avranno l’endometriosi….ma neppure mi sono mai sentita così afflitta e disperata per avere una malattia cronica, visto e considerato che ognuno ha la sua croce da portare, io credente l’ho accettata, non ho mai maledetto il giorno che me l’han diagnosticata, non voglio esser commiserata e vado in bestia quando qualcuno mi dice” ma quante ne hai passate”!… e come dice quel proverbio: >>se ognuno portasse in piazza la propria croce, guardando le altre se ne tornerebbe a casa con la propria in silenzio”<< L'endometriosi mi ha permesso di conoscere tante, tantissime ragazze che mai penso avrei potuto conoscere altrimenti, non parlo di messaggini o paroline su un social network ma davvero di rapporti di amicizia che ormai vanno oltre la malattia e il PC, di questo le sono grata, abituata come sono a veder il lato positivo di tutto cio' che mi accade anche di non piacevole. Anche mia figlia che ha sette anni se parla di qualcuna di voi mi chiede se si tratta di una "endo"….ma sa perfettamente cos'è l'endometriosi, come si pronuncia e cosa comporta!!! Se proprio lo dobbiamo ad un gruppo di Endo-girls….e che sarà mai!!! Buon sabato a tutte!!

  18. Io sono me stessa, poi c’è anche la malattia cronica. Possono definirmi “endina” o altro, la cosa non mi offende…io però non faccio altrettanto. Ho iniziato a scrivere su pagine dedicate alla malattia da veramente poco, da subito dopo l’intervento a gennaio di quest’anno…ho conservato voi dell’Ape e un’altra pagina. Da altre sono SCAPPATA a gambe levate, ma non perchè venissi chiamata in modi strani…il motivo era un altro: c’erano delle persone che la malattia l’avevano nella mente, non nella pancia! E non intendo dirlo a titolo offensivo! Era proprio il modo di vivere la vita, e con essa la malattia che non andava. Mi sono sentita dire “tanto tra 4 mesi ti torna”. Ora…in tutta onestà…è cosa da dire a una che si è appena tolta i punti???? Direi di no. Ecco, io bado a queste cose prima di tutto. Non a come mi chiamano. Certo, noi non siamo la malattia.

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