ENDO CHE?
Questa non è una storia per affermare quanto io sia bravo per stare da due anni con una persona malata da una malattia invalidante, che t’impedisce di avere figli, che provoca dolori allucinanti e che colpisce la femminilità, in tutti i suoi molteplici aspetti. Se mai brava è lei, che sopporta tutto questo.
Queste poche righe vorrebbero essere un contributo informativo su una malattia sconosciuta ma della quale sono affette 3 milioni di donne italiane, arricchite dalla mia esperienza personale nel stare a fianco di una persona che nonostante tutto, cerca e vuole fare una vita normale. Solo questo.
Nella tragedia, nel dolore, le persone ricercano semplicemente quello che avevano una volta, la normalità.
La ricerca della tranquillità, non è mediocrità ma solo desiderio fortissimo di tornare a vivere, come fanno parzialmente, sarebbe più giusto dire infatti che sopravvivono, fra un dolore e un altro ancora.
Lei aveva questi dolori quando io già la conoscevo ma la diagnosi di endometriosi, c’è stata di fatto solo qualche mese fa.
Aderenze di tessuti a organi che stanno dove non dovrebbero, cisti a utero e ovaie, con gravi difficoltà a figliare, dolori da contorcersi, tentativi disperati di ricorrere a tutti gli analgesici del mondo, ricerca di cibi salutari. Questa è l’endometriosi.
Prima di lei, non ne avevo mai sentito parlare, so solo che la diagnosi è stata tardiva e che nel frattempo la malattia è progredita.
La prospettiva peggiore è un’operazione, delicatissima perché le sue aderenze nel frattempo sono arrivate fino all’intestino, la migliore, attenuare i dolori con pillole o anelli ormonali. La migliore, perché la malattia è cronica.
Basterebbe ciò a disegnare un inferno ma non è finita.
I dolori possono arrivare in qualsiasi momento, dovendo rimandare così impegni più o meno importanti, non si sa mai cosa mangiare, di certo non si possono bere alcolici e assumere tutto ciò che infiamma, si passano ore al bagno a causa di coliche e diarree, si perde peso e si ha una stanchezza cronica. Di fatto è una malattia invalidante e il fatto che lo sia stata riconosciuta da poco è una aggravante soprattutto per medici non aggiornati nel migliore dei casi, inesperti o peggio ancora che accusano le pazienti di esagerare o che le trattano con psicofarmaci.
Non nascondo che l’estate scorsa a diagnosi ancora non pervenuta, abbiamo passato un mese di vacanza spensierati e senza che lei avesse dolori e allora anch’io che le voglio bene e dovrei conoscerla meglio di chiunque altro, ho pensato fosse un fatto di testa. Ho creduto fosse stress o peggio ancora.
In realtà dopo la diagnosi ho scoperto che lo stress è una componente ma non determinante così come il cibo. In sostanza quando decide di venire viene e non si sa perché. Agghiacciante, disumano anche perché, pur operata può ritornare, perché impedisce di avere figli e pure per paradosso, qualora si riuscisse a restare incinta, quei nove mesi sarebbero gli unici senza dolori.
Si capisce perché è un dramma tutto al femminile e per questo probabilmente, non considerato, come nella nostra società maschilista, lo sono da sempre le donne.
Alcune poi, per i dolori non riescono nemmeno ad avere rapporti sessuali.
In questi scenari, noi ci rientriamo quasi in toto.
Quello che mi sforzo di farle capire è che l’eroe è lei che sopporta tutto questo, riuscendo quando non ha dolori o stanchezza, a fare una vita abbastanza normale.
Si esce, si condividono progetti o interessi culturali, si va in vacanza, si fanno tutte le cose da coppia, solo stando più accorti.
Quei momenti in cui sta bene ci ripagano di tanta sofferenza.
Per me non è ne fatica ne eroismo starle accanto: è un piacere. Nel bene e nel male perché quando uno ama, guarda alla persona in toto e non a compartimenti stagni.
L’unica cosa a cui prestare attenzione la devo avere nel non essere petulante e ho imparato a non ingigantire i miei problemi a fronte della difficile situazione che lei vive, perché è vero che siamo in due ma purtroppo la malattia è tutta personale, quasi in condividibile.
In realtà l’aspetto più difficile a fronte di questa Odissea è per me questo, a volte inevitabilmente c’è il serio rischio di finire in secondo piano ma tutto ciò è fin troppo comprensibile, tutto sta nel sentirsi compresi nei rari momenti di relax.
I miei amici e i suoi, ne sono stati tutti avvertiti e chi non capisce, prima o poi dovrà renderne conto, davanti allo specchio che sbatte in faccia sempre e comunque la verità: una malattia invasiva,cronica e invalidante e che perciò condiziona la vita pratica.
Molti per fortuna non tutti, restano stupiti, alcuni potrebbero allontanarsi, non capire o quello che per me rimane il peggiore degli atteggiamenti, continuare a comportarsi normalmente, come se nulla fosse, anteponendo i loro problemi, il loro vivere quotidiano che per carità sarà pure degno di chiamarsi vita e interessante, alla persona malata.
Io ho scelto di vivere con questa persona e di convivere con questa malattia per amore, non cerco medaglie, il rapporto è assolutamente normale, vivo e si basa assolutamente sul confronto, anche su una cosa tanto grave.
Lei ripete che sono l’unico che l’ho veramente capita e questo è decisamente ripagante di vedere la donna che si ama contorcersi o in lacrime.
La diagnosi è troppo recente per poter affermare che abbia accettato quello che le è capitato ma per fortuna oggi ci sono tutti i supporti psicologici per farlo magari cercando di ridimensionare o guardare con occhi diversi tutti gli altri problemi che ci circondano.
Credo che per me sia stato naturale per il mio essere papà, prendermi cura di questa persona, l’amore che provo per lei e la bella testa pensante di questa persona,hanno fatto il resto.
Per lei è un inferno quasi quotidiano ma sa che può contare su di me, il resto viene da solo.
In cuor mio, per lei, sono convinto e speranzoso che migliorerà che tornerà a fare una vita normale, a riavere un po’ di tranquillità: che i dolori si attenuino è auspicabile per ovvie ragioni e indispensabili per abbassare il senso di rabbia e ingiustizia, per poter tornare a sognare di aver un giorno un bambino, per fare sogni o progetti e non più incubi agghiaccianti.
A me però interessa il presente che nonostante tutto vedo roseo perché questo vivere negli ultimi due anni io, lei e l’endometriosi mi ha insegnato che le piccole cose hanno un valore inestimabile, che la differenza anche nel dolore la fa sempre la testa degli individui, che addirittura posso dare un mio contributo quando è in preda ai dolori, o correndo a preparare un analgesico o con un massaggio.
Una volta mi disse “dai scontato che sto sempre male”, e io così ho fatto: le mie attenzioni per lei, così, non solo per il mio carattere, sono diventate quotidiane, dai messaggi,dove comunque sia le chiedo sempre come sta, a quelli meno scontati, come quando nei rapporti sessuali, seguo oramai senza turbamenti i suoi consigli per cercare di non fargli altro male.
Considero questa tra le mie storie più importanti, perché per la prima volta ho capito cos’è il rispetto, mettersi in secondo piano di fronte ai problemi veri e sentirsi comunque tanto amati e ricambiati in ogni gesto.
Andrei via da questa situazione solo per un motivo: se la malattia le cambiasse totalmente il carattere e anche qualora ciò avvenisse, in fondo sarebbe normale, saprei focalizzarmi sull’unica cosa che reputo comunque difficile che avvenga, che per difendersi da tutto e tutti,diventasse cinica,questo forse non potrei sopportarlo, piccola mia.
Scusate devo correre, l’ENDO, è tornata a bussare.
OKI o Toradol, amore, massaggino?
Scusa, lo so che ora non ce la fai neanche a parlare….TI AMO.
IL CARCERE
Nel carcere del dolore
Provavi un senso d’ingiustizia.
Nel buio della malattia
senti forte la fitta
di chi forse ti toglie la possibilità di essere donna.
Poco o nulla si sa della tua sofferenza,
una pillola, un anello forse magico
e chi crede tu sia pazza,
perfino a volte chi dovrebbe curarti
che ha fatto scorrere tempo, troppo.
Ora le piccole cose e la quotidianità apprezzi
più che mai.
La speranza di essere in tre, non è mai abbandonata del tutto
ma per ora siamo in due.
Cosa posso fare per te?
Correre a preparare una pozione magica,
un massaggio, un ‘accortezza in più.
Nel carcere del dolore,
una speranza di una vita normale
finalmente tranquilla,
ancora insieme.
SEI UGUALE A ME
Guardo l’occhi tua
e vedo la vita mia
quello che vorei
è quello che tu sei.
Stessi sogni
stessa realtà
e quanto è brutto dovè lavorà
co chi invece che pregà
pensa solo a magnà.
Noi avemo studiato
ma sta’ Cupola nessuno mai ha cambiato.
Quante vorte se semo detti te ricordi?
Ne so passati d’anni
ma stamo sempre senza sordi.
Quante battaglie
quanti amori
se sa
quanno c’hai passione
so gioie e so dolori.
Avemo riso e pure sofferto
ma quer pugno chiuso
ci legherà di più
de un semplice letto.