Riflettendo con Sara

Ciao Veronica,

Circa un anno fa ti scrivevo di come l’endometriosi mi aveva aiutata a vedere il mondo con occhi diversi, a prendermi il mio tempo, ad apprezzare davvero le cose belle della vita.

Come mi sento stupida adesso a rileggere quelle parole. Hai presente quando i bambini si entusiasmano per un animaletto? Hanno quell’espressione elettrizzata che non ho mai visto in un adulto. Ecco io ero così.

Sono da capo. Aspetto le ultime visite a Negrar, per un intervento che farei domani, ma che al solo pensiero mi terrorizza. A 6 mesi dal primo intervento ho ricominciato a giocare a basket, mi sentivo rinata. Poi dopo un paio di mesi ho mollato, non reggevo lo sforzo. Questa forse è stata la molla per cercarmi una nuova “identità”,  ho intrapreso la strada del volontariato con l’a.p.e. facendo poi informazione proprio durante le partite del mio amato sport. Parlare con la gente, distribuire volantini, condividere mi ha dato forza. La forza di credere che magari tra un decennio una ragazza da qualche parte avrà una vita diversa dalla nostra. Non si sentirà diversa, sola o imbarazzata. Volevo e voglio credere nella ricerca e nel progresso. Perchè progresso per noi è non metterci 10 anni per diagnosticarla. Progresso è anche far capire quanto questa misteriosa malattia sia socialmente invalidante.

Ecco, credo che sia questa la forza del volontariato, condividere qualcosa, in questo caso forse la speranza.

Ogni volta mi sento arricchita da quelle esperienze, poi a casa, quando tutto è finito e ripenso a quegli sguardi il petto mi esplode e la gola si sringe.

Una volta in un telfilm scherzavano ironicamente sul fatto che ognuno porti con sè uno o più bagagli con sù scritte le cose che ci caratterizzano. Beh una donna con endometriosi si distingue se la guardi attentamente, ha un bagaglio con sù scritto bello grosso “TRISTEZZA”, quella tristezza che leggi nel suo sguardo se la osservi quando è distratta. E poi ha un bagaglio a mano, uno zainetto, in cui tiene con sè tutta la propria “FORZA”. Quella forza che non vedi, anzi che a volte è scambiata per piagnisteo, per esagerazione, ma che invece la contraddistingue nei suoi gesti.

Poi, proprio quando sentivo la mia vita ricominciare, eccoli di nuovo quegli inconfondibili strazianti dolori davanti ai quali a stento riesco a non svenire. Da capo. Non so mai come e quando arrivano, ma di certo non perdonano il mio stile di vita. Ogni volta che mangio seleziono quel piatto, come se fosse un piatto di endometriosi. Mentre le mie giovani amiche “lievitano”, io mi sento affamata anche nella vista, e ricordo con nostalgia i tempi in cui non mancava neanche lo spuntino di mezzanotte, quando mi godevo un gelato o una bella grigliata di maiale.

L’endometriosi mi umilia. Devo sempre avere un wc a debita distanza. Provate a dirmi che non è nulla, e quando ve la sarete fatta nei pantaloni durante un aperitivo con i Vostri amici mi direte se è vero. Mi vergogno profondamente di far vedere questa me agli altri. Vorrei sparire a volte.

Vado abitualmente da una psicoterapeuta, non posso pensare in questo momento di farne a meno. È un fardello troppo grande da portare da sola.

Sola. Sola. Sola. Non ho nessuno che mi ami, forse perché non mi amo più nemmeno io. Ho perso una marea di amicizie. Ma quelle vere non mi lasciano un secondo. Vivevo sola e ora ho paura. Di cosa poi… Eppure riesco a dormire solo nella mia vecchia stanza che confina con quella di mia mamma. Sono una che ha viaggiato, ora ci sono giorni in cui mi sento un’ameba, che usa tutte le energie che ha per lavorare. Ogni volta che lascio il posto di lavoro costretta dai dolori è una sconfitta. Quindi piuttosto me ne sto lì a soffrire, ostentando un sorriso, dimostrando a me stessa una parvenza di normalità. Sono arrivata ad un punto in cui il mio lavoro è il momento migliore della mia vita.

Ho 26 anni, il mio aspetto si scontra con la mia testa. Ne dimostro 20 e ho la testa di una trentacinquenne. Prima invidiavo le uscite delle amiche, le feste, la discoteca, ora invidio coloro le quali magari senza desiderarlo hanno avuto un bimbo o una bellissima bimba. In 2 anni sono cresciuta troppo in fretta.

Passo da momenti di “depressione” a momenti di rabbia. Ma non ho nessuno che si chiami Endometriosi da poter prendere a pugni.

E poi c’è stata, la richiesta di invalidità, un riconoscimento dato e non dato, che di fatto ammette il disagio ma nega ogni aiuto. Un gesto che ritengo personalmente che ognuna di noi dovrebbe fare però, perchè se siamo 3 milioni di donne e tutte fanno questa richiesta, siamo così sicure che rimarremmo per sempre nel silenzio?

Come forse ti scrissi, un figlio è sempre stata l’unica cosa certa che volevo dalla mia vita. E adesso la vedo sempre più lontana. Avevo prenotato un viaggio in america per quest’estate, che ho dovuto disdire a causa della salute, rimettendoci parte della caparra. Così mi sono trovata a fare le vacanze con mia mamma, per carità, che mi capisce come nessuno forse, e che dice si vorrebbe accollare tutto il mio dolore, ma a 26 anni avevo altri progetti. Sono tornata a fare le vacanze dove le facevo da bambina. Era pieno di bambini. Uno più bello dell’altro. Non sono una che va in chiesa, ma ogni giorno mi sono messa ad andarci, per vedere se da lì Dio mi sentiva, perchè francamente a volte penso che si sia girato dall’altra parte o che sia solo una “consolazione” inventata dagli uomini disperati per credere ancora in qualcosa. Poi mi dico che se stiamo “litigando” è perchè abbiamo qualcosa da dirci, altrimenti non mi arrabbierei nemmeno, giusto?

Non so dove siano finiti il mio spirito ottimista e buona parte della mia personalità. Lamentarsi non serve. Quindi cerco di vivere alla giornata e apprezzare ogni minuto di pseudosalute, senza riempirmi di lacrime quando sono al parco e vedo i bambini giocare. Sono sicura che così non sia giusto. Da quando so di avere l’endometriosi metto da parte ogni centesimo perchè voglio un figlio. Ora però mi chiedo se sia giusto, rinunciare a qualche piccola gioia per un sogno che un giorno potrei dover accettare che non si realizzi. Devo pensare a me stessa adesso, forse devo essere egoista, sono certa che un perchè a tutto questo debba esserci, per ognuna di noi.

So che non ami pubblicare il seguito delle storie, e a dire il vero ti scrivo, perchè , dopo sei mesi che lo avevo acquistato ho trovato il coraggio di leggere il tuo primo libro. L’ho letto tutto d’un fiato. Pensa, lo avevo messo in un cassetto perchè non mi sentivo pronta per leggerlo.

Non la volevo leggere quella parola. “Endometriosi”. Persino il suono di questa parola fa pensare a qualcosa di disastroso, di catastrofico.

Però forse è proprio condividendo i propri disastri che si spera in futuro non si ripetano. O forse condividendoli ci sentiremo per un attimo più leggere di quei bagagli e quegli zainetti che ci portiamo dietro.

In fondo al cuore forse sogno ancora di giocare a basket mentre la mia bambina fa il tifo da fuori e un tavolino dell’a.p.e. fa informazione all’intervallo della partita.

Sei una grande donna, volevo dirti solo questo!

Un abbraccio

Sara

 

 

Sara io penso una cosa. Penso che a volte perdiamo di vista la dimensione “spazio-tempo” e ci sembra che qualcuno con una grande bilancia debba per forza OGGI fare un bilancio di quella che è la nostra vita. Ma, va bene vivere al presente come dico sempre di fare … ma non pensando che non ci sarà un domani, che non ci saranno opportunità, che non ci sarà un nuovo amore, un bambino, anche due, un altro intervento magari, ma che ci farà finalmente vivere senza dolori.
Hai 26 anni ed è doveroso per me dirti questo, ma te lo direi anche se tu avessi 50 anni, perché la vita a volte precipita e tutto può cambiare. In bene e in male.
Auguriamoci e concentriamoci su ciò che cambierà in bene. Siamo pronti ad accogliere i cambiamenti e passare da giocatrici di basket a spettatrici di basket. Senza troppi tormenti, senza troppi rimpianti. Apri le porte, aprile tutte e fai entrare tutto quello che di buono c’è!
Un abbraccio
Vero

Marisa di Mizio Pres. Ape Onlus scrive all’Indignato Speciale TG 5

Buongiorno a tutte e buon 21 luglio a tutte ovunque voi siate! 🙂 Vi scrivo per comunicarvi che il consiglio direttivo dell’A.P.E. onlus dopo aver visto il servizio giornalistico andato in onda nella trasmissione “L’indignato speciale” di canale 5, ha deciso di inviare una formale lettera di “indignazione” per quanto è stato asserito nei due minuti di messa in onda. Di seguito il testo della lettera inviata ad Andrea Pamparana, giornalista mediaset in data 17 luglio. http://www.video.mediaset.it/video/tg5/indignato_speciale/399006/l-endometriosi-e-la-sanita-nazionale.html

Un caro saluto a tutte. 🙂

Egregio Dr Pamparana, sono Marisa Di Mizio presidente nazionale dell’Associazione Progetto Endometriosi A.P.E. onlus, associazione di volontariato onlus attiva da
ottobre del 2005.
La nostra associazione, che ha sede nazionale a Reggio Emilia, si prefigge come scopi principali l’aiuto, il sostegno alle donne con endometriosi oltre ad informare l’opinione pubblica ed i medici di medicina generale sulla malattia, malattia che ha colpito anche la sottoscritta, le fondatrici dell’A.P.E. ed il consiglio direttivo che si unisce alla stesura della seguente mail.
Il motto della nostra associazione è “Fare informazione per creare consapevolezza”.
Aggiungo: informazione corretta ed è questo il motivo che mi spinge a scriverLe in quanto il servizio andato in onda il giorno 12/07/13 contiene una serie infinita di inesattezze.
Nei due minuti di servizio giornalistico le imprecisioni sono state tali e tante da distruggere il lavoro che da anni le associazioni di pazienti portano avanti per fare un’informazione corretta su una malattia che colpisce in Italia circa 3 milioni di donne ed è misconosciuta dalla stragrande maggioranza delle persone.
Partiamo dai punti fondamentali: la malattia NON è riconosciuta dallo Stato Italiano e l’esenzione a cui fa riferimento la Signora Barbara Cuccato NON esiste.

L’endometriosi NON ha un proprio codice di esenzione e nonostante gli sforzi di numerosi parlamentari, in primis la Senatrice Bianconi che da anni è al nostro fianco e che nel 2005 ha presentato al Senato:
“L’INDAGINE CONOSCITIVA FENOMENO DELL’ENDOMETRIOSI COME MALATTIA SOCIALE”.
Questo perchè la malattia riceva il giusto e doveroso riconoscimento che, fino ad oggi, non è ancora avvenuto.
Altra questione: da anni ci battiamo in tutte le sedi istituzionali affinchè l’endometriosi venga riconosciuta malattia invalidante: un anno fa l’INPS aveva recepito l’endometriosi nelle nuove tabelle per l’invalidità, ma affinché quelle tabelle diventino operative, serve un decreto attuativo da parte del Ministero della Salute che non è ancora arrivato.
Il discorso “esenzione” resta comunque slegato dall’invalidità e, visti i tagli continui ai budget ospedalieri e la famigerata spending review degli enti pubblici, non è realistico pensare che si riesca ad ottenere l’esenzione dal ticket in tempi brevi. Anzi, è utopistico pensarlo..
Allo stato attuale, possono beneficiare dell’esenzione per alcuni esami e visite solo quelle donne che sono affette da pluripatologie: donne che non hanno “solo” l’endometriosi ma altre malattie importanti o che, a causa di un intervento demolitivo per l’endometriosi, hanno subito la compromissione di organi vitali (esempio pazienti stomatizzate). Se questo è il caso della Signora Cuccato era fondamentale specificarlo nel servizio giornalistico per fornire informazioni corrette.

Affrontiamo la questione dei farmaci che vengono prescritti alle donne con endometriosi: solitamente gli specialisti prescrivono la classica pillola anticoncezionale che non è mutuabile in quanto, pur essendo utilizzata per tenere sotto controllo la malattia inibendo il lavoro delle ovaie, le finalità e gli scopi del farmaco sono tutt’altri.
Esiste poi una serie di farmaci, come gli analoghi del GnRH, molto “pesanti” sotto il punto di vista degli effetti collaterali e che sono generalmente mutuabili, ma sono terapie di breve durata, max 6 mesi, proprio per i disturbi correlati (vampate, sudorazione, perdita di calcio etc).
Sebbene nel servizio non se ne facesse il nome, posso/possiamo supporre che
il farmaco “miracoloso” a cui si riferiva la Signora Cuccato è il Visanne della Bayer, progestinico il cui principio attivo è il dienogest disponibile in Italia da metà maggio.
Si tratta del primo farmaco con indicazione specifica per endometriosi che, negli studi scientifici, ha dimostrato un’efficacia simile a quella degli analoghi del GnRH, ma effetti collaterali simili a quelli delle comuni pillole anticoncezionali.
Pur non essendo in grado di “curare” la malattia, è un farmaco promettente per quanto riguarda la capacità di controllo del dolore e il miglioramento complessivo della qualità di vita delle pazienti.
L’AIFA, Agenzia Italiana del Farmaco ha stabilito che Visanne rientra nella
fascia C, con costo totale a carico del paziente e obbligo di ricetta per la vendita: trattandosi di un farmaco nuovo, ha un costo piuttosto alto, pari a 56 a confezione (quindi al mese).
Come associazione nazionale di pazienti siamo da diverso tempo in contatto con esponenti della Bayer ai quali abbiamo espresso il nostro disappunto in merito ai costi che le donne dovranno sostenere per poter avere dei miglioramenti, ma prevediamo tempi lunghi per una risoluzione che molto probabilmente non avverrà.

Il punto focale rimane comunque l’informazione errata data nel servizio relativamente all’esenzione ed al riconoscimento e che vorremmo venisse rettificata nel più breve tempo possibile con un’altra intervista o con qualsiasi altro mezzo riterrete opportuno.
Non è concepibile smontare con due minuti di servizio, anni di lavoro, impegno, sacrifici, si sacrifici perchè siamo tutte volontarie, tutte affette dalla malattia, con un’intervista francamente “indignante”.
Sperando in un Suo cortese riscontro, Le lascio il mio recapito telefonico nel caso volesse contattarmi per fare due chiacchiere in merito.
Grazie dell’attenzione.
Cordialità
Marisa Di Mizio
presidente A.P.E. onlus

CONSAPEVOLEZZA

Cosa vuol dire CONSAPEVOLEZZA? Ci sono parole che a volte sembrano ben piazzate dentro a delle frasi, suonano bene, sono armoniche e acquistano spessore anche se non ci è ben chiaro il loro significato. “FARE INFORMAZIONE PER CREARE CONSAPEVOLEZZA” … quante volte ho sentito questa frase.

La consapevolezza di sé dovrebbe essere una tappa fondamentale nel cammino della vita di ognuna di noi. Al di là della malattia che si manifesta improvvisamente e ti costringe e fermarti per pensare e riflettere.

“FARE INFORMAZIONE PER CREARE CONSAPEVOLEZZA” . Nel dettaglio di questo slogan dell’APE … FARE INFORMAZIONE (=distribuire volantini sulla malattia, allestire tavoli informativi nelle piazze) PER CREARE CONSAPEVOLEZZA (=per far capire alle persone come agisce questa malattia, raccontarne i sintomi, i disagi, le preoccupazioni).

Ma la CONSAPEVOLEZZA non è solo quella che viene acquisita dagli altri. Prima di tutto è quella che dobbiamo acquisire noi. Consapevolezza di noi stesse, di quello che siamo, di quello che vogliamo. Allargare gli orizzonti, darci delle opportunità, crearci degli interessi, riempirci la vita. Se riusciamo a dare un senso al CHI SIAMO, riusciamo meglio a gestire anche il COSA SIAMO. Se riusciamo ad informarci sulla malattia, riusciamo ad arginarla. Non mi stancherò mai di dirlo. E ci farà meno paura. E’ un passaggio obbligato che ci permette di arrivare alla fase dell’accettazione, tanto sospirata e desiderata.

CHI SONO: Io sono Veronica, con la mia vita, i miei affetti, il mio lavoro, i miei problemi, i miei libri, i miei sassi, i miei gatti, la mia casa di campagna, i miei interessi, le mie gite al mare. Tutto questo RIEMPIE la mia giornata.

COSA SONO: Ma sono anche affetta da endometriosi, ma questo è un aspetto mio, privato. E’ il mio punto debole forse, quello da proteggere, da non dare in pasto a chiunque. E’ un’informazione che mi riguarda che considero speciale, che solo pochi possono meritare di conoscere. E’ la password che consegno a chi merita di accedere ai miei sentimenti più profondi ma non è un sottotitolo scritto sui miei biglietti da visita.

Per questo chi mi conosce, chi viene sulla mia bacheca FB, non vedrà mai un accenno alla MIA endometriosi. Di lei ho parlato ampiamente, le ho dato un inizio e una fine perché non avrei mai voluto essere agli occhi di chi mi conosce UNA MALATTIA.

Della mia endometriosi ho smesso di parlare nell’ultima pagina di CONDIVIDENDO scritta ormai diversi anni fa.

Perché voglio che ci sia assolutamente congruenza con il CHI SIAMO? E il COSA SIAMO? Per me la risposta deve essere unica: VERONICA.

SOGNI

Penserete che sto uscendo un po’ dal seminato … da quello che è il tema principale di questo blog ma ogni giovedì sera mi ritrovo a guardare questa nuova trasmissione su RAI5 condotta e ideata da Simone Perotti www.simoneperotti.com e sento che le riflessioni che mi rimanda sono assolutamente mie, partorite in questo percorso con la malattia.
Si è parlato di PAURA, SOLITUDINE, MANUALITA’ … nella prossima puntata si parlerà di SOGNI, vi mostro il promo che mi ha alzato la pelle d’oca perchè quante volte ci siamo dette “Adesso basta, cambiamo modo di vivere” e quante volte abbiamo desiderato veder concretizzarsi i nostri SOGNI?
Non perdete la puntata di giovedì … vi assicuro che vi arricchirà .. e capirete quanto invece io con questo post non sia andata fuori tema.

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=TU2y30whikI

Riparlarne … dopo tanto tempo

Ieri pomeriggio si è tenuta a Parma la presentazione dei miei libri dopo anni di “fermo” ed è stata un’occasione per me per fare ordine a tanti pensieri che da anni giravano nella mia mente, frutto di riflessioni leggendo le storie che mi arrivano per il mio blog o leggendo post dei miei contatti su Facebook.
Ma anche riflessioni che riguardano la malattia in generale, non nello specifico l’endometriosi.

Ringrazio Jessica per avermi dato questa opportunità e per aver organizzato questo incontro che ha arricchito tutte noi. Ascoltare il dott. Crovini parlare della malattia in modo “insolito”, poco medico e molto umano ha scaldato il cuore di noi tutte e per un attimo, lui è passato “dall’altra parte” facendosi paziente e noi siamo passate “dall’altra parte” provando a capire cosa c’è dietro ad un mondo fatto di lunghi tempi d’attesa, di interventi “a tutti i costi”, di diagnosi errate, di scarsa umiltà, di un sistema che ormai fa andare tutto velocemente, senza il tempo di ascoltare, riflettere.

Ringrazio Alessandro Pesci, il papà della nostra Serena che ieri pomeriggio è stato il papà di noi tutte, con calore e simpatia tipica fiorentina.
Averlo tra noi è stato per me un regalo prezioso.

Per chi non è potuto essere presente vorrei riassumere qui, brevemente, quello che è stato il mio intervento sperando che possa essere spunto di riflessione per tutte voi.
Vorrei che fosse una porta aperta verso il futuro.
Vorrei che cercaste di prendere le distanze dalla vostra condizione attuale e cercare di vedere la vostra vita da lontano, dando un’occhiata al passato e anche al futuro. Non solo al presente che spesso sentiamo tanto pesante.

Il titolo dell’incontro di ieri è stato: “Si può sopravvivere con il sorriso ad una malattia cronica?”
Eravamo indecise se trasformare questa domanda in un’affermazione.
Ma ho pensato che con un’affermazione non sarei risultata molto simpatica. Non è certo mia intenzione fare la perenne ottimista, colei che ha in mano la verità assoluta perché ovviamente non è così, ma pur tenendo presente che il percorso verso l’accettazione è personale e soggettivo, vorrei che tutte tentaste di accelerarlo con la consapevolezza che tutto questo è possibile. In tempi differenti, in momenti differenti, ma è possibile.

Credo che per farlo si debba necessariamente conoscere molto bene noi stesse. E avere ben chiaro chi siamo e cosa vogliamo. Può sembrare una frase fatta, ma non lo è.
Solo noi possiamo sapere cosa ci fa star meglio per esempio. Solo noi sappiamo come reagiamo davanti alle avversità, di cosa abbiamo bisogno nei momenti di sconforto.

E allora concediamoci il lusso di cercare di stare meglio, se non altro psicologicamente. Sto parlando di piccole cose, non di grandi progetti irraggiungibili. Sto parlando di leggerezza, di una chiacchierata con le amiche, di una cioccolata calda, di un programma televisivo, di una giornata al mare.
E se vogliamo esagerare, sto anche parlando di concretezza, di sogni realizzabili che possono essere tradotti in hobby, interessi, impegno.

Avere qualcosa da portare a termine che ci piace fare può essere una buona possibilità di distrazione.
Che sia giardinaggio, un corso di danza, dipingere, fare la volontaria in un canile piuttosto che in altre attività sociali, sono boccate di ossigeno.
Per me per esempio scrivere un libro è stata la mia salvezza. Mi ha distolto dal mio NEGATIVO, dalla mia condizione e frustrazione. Diventare volontaria APE cercando di convogliare la mia rabbia in qualcosa di positivo è stata salvezza.
Lasciare aperta la mente al mondo premia sempre, arricchisce. E tutte noi abbiamo bisogno di sapere che non siamo solo “la nostra endometriosi” ma di essere tutto un altro mondo intorno a lei.
Le abbiamo dato tanto spazio per troppo tempo. Tutto questo non deve essere per sempre.
Siete voi a decidere che importanza darle nella vostra giornata e nella vostra vita.
Siete voi che decidete quanto parlarne, quanto darle la colpa di ciò che non siete.
Nella fase iniziale è concesso, quando si ha sete assoluta di notizie, quando si ha urgenza di capire la sua evoluzione, quando si cercano storie da condividere, da sviscerare. Addirittura quando si cerca di capire la CAUSA … alzi la mano chi non ha almeno una volta cercato di capire leggendo le nostre storie cosa ci poteva essere in comune … un piccolo particolare che forse finora è sfuggito a tutti ma che basterebbe stanare per cancellare l’endometriosi dalla faccia della terra.

Tutto questo è  normale che accada, anzi, non sarebbe normale il contrario. Informarci è il miglior atto d’amore che possiamo fare verso noi stesse.
Ma farlo cercando di mantenere un certo equilibrio a volte è difficile e farsi spaventare dalle storie più sfortunate è facile.
Cerchiamo però di non dimenticare mai che in tutta la nostra vita c’è capitato più volte di provare paura. Paura che l’aereo cada con noi sopra, paura di fare un incidente stradale, paura di non svegliarsi dopo un intervento, paura di cose sciocche.
Ma siamo ancora qui, vive e “fortunate”.
Questo “bilancio” deve servire a darci coraggio ad affrontare la vita.
Mi ha colpito molto questa frase: “ Un giorno la PAURA bussò alla porta, il CORAGGIO andò ad aprire e non trovò nessuno”.
Quella porta era uno specchio. Coraggio e paura nascono dalla stessa radice dentro di noi, sta a noi cercare il giusto equilibrio.
Tenete presente anche che chi non vive esperienze drammatiche raramente sente il bisogno di dirlo, su internet quindi troverete probabilmente molte più storie pesanti e dolorose rispetto a storie in cui fondamentalmente c’è poco da raccontare.
Con questo voglio dire che per esempio se è vero che siamo in più di 3 milioni di donne con endometriosi e nel mio blog ospito “solo” 600 storie è perché la maggior parte delle donne con endometriosi non sente il bisogno di denunciare, di urlare il proprio dolore. E se la legge dei grandi numeri può esservi di conforto, cercate di pensare che non necessariamente la vostra endometriosi sarà devastante e invalidante.
Non necessariamente perderete un rene come la storia che avete letto.
In ogni caso avrete uno strumento in più, quello della conoscenza. Ora che vi siete informate potrete meglio prendere in mano la vostra vita, potrete rivolgervi ad un centro specializzato e tornare dal vostro bravo ginecologo solo per problemi di “candide”. Saprete come prendervi cura di voi, come programmare le vostre visite di controllo, saprete migliorare la vostra alimentazione e il vostro stile di vita.
Saprete comprendere meglio la vostra condizione, saprete valutare se quello che vi occorre è un intervento o una cura farmacologica, senza subire passivamente una sentenza.
Saprete rivolgervi alle associazioni di pazienti per ogni dubbio o domanda, saprete che esiste una lista dei centri pubblici specializzati in endometriosi, che ci sono esami specifici che danno risposte specifiche e che tutto quello che occorre fare non è più “brancolare nel buio” ma ora si gioca a carte scoperte.
Saprete anche se il dottore che vi ha in cura è quello che fa per voi, se ha la vostra piena fiducia.
Saprete dare un nome a quel dolorino, saprete collocarlo all’interno del vostro ciclo mensile.
SAPRETE.

E dal punto da cui siamo partite, direi che è già molto, non credete?
Ma la conoscenza non cade dall’alto.
Bisogna investire in tempo e pazienza.
E’ di fondamentale importanza che voi cominciate a presenziare come pubblico a qualche convegno medico per esempio.
Le associazioni di pazienti ne organizzano spesso.
Sarà dura, la prima sensazione sarà quella di smarrimento. Di dolore. E quel senso di ingiustizia per ciò che vi è capitato non vi lascerà probabilmente mai. Ma ascoltando i massimi esperti parlare di endometriosi aiuta tantissimo a tranquillizzarsi. Piano piano vi sembrerà di saperne davvero molto. Saprete per esempio se il vostro ginecologo è in grado di curarvi, saprete se ciò che vi consiglia è davvero la cosa giusta per voi.
Oggi con internet è possibile fare tutto questo comodamente seduti sulla propria sedia di casa. Su YOU TUBE ci sono decine di videi sui due convegni nazionali organizzati dall’APE ed è possibile ascoltare e vedere tutti i relatori che hanno partecipato.
Nessuna scusa quindi per la troppa lontananza o per i troppi impegni. Sta a voi fare i conti con la vostra coscienza. Niente più.

Di questo ho parlato più o meno ieri a Parma.

Ho parlato anche dell’importanza di riuscire a dire NO.
Se ci rendiamo conto di non essere più le Wonder Woman che eravamo prima del manifestarsi della malattia, impariamo a dire NO.
Può essere la parola più bella del mondo, quella che ci salva dai “doveri” casalinghi, dai doveri “sociali”.
Non ne abbiamo voglia? Siamo semplicemente stanche? Non c’è bisogno di inventare grandi scuse. Si può essere sincere e rispondere agli altri o a noi stesse semplicemente con un NO.
Tutto può essere rimandato. Non dobbiamo giustificarci con nessuno, non dobbiamo dare spiegazioni. Basta un “non me la sento” e siamo state leali con noi stesse e gli altri.

E infine ho parlato del nostro “sesto senso” che altro non è quello che non ci diamo il tempo di ascoltare. Un pensiero concepito ma non partorito. Un pensiero che ogni tanto torna e ci apre gli occhi sulla realtà. Dobbiamo solo darci il tempo di ascoltarlo, analizzarlo. Raramente questi pensieri sono sbagliati o perdite di tempo.
Che sia la sensazione di essere in mani sbagliate, piuttosto che il sentore di non dover ripetere un nuovo intervento, date ascolto a voi stesse in tutta la vostra interezza. Non tralasciate niente e non ve ne pentirete. Per questo dicevo all’inizio dovete essere ben presenti a voi stesse e conoscervi a fondo.

Questo è il bagaglio di esperienza personale che mi sono fatta in questi anni con la mia malattia e la vostra. Non ho la presunzione di avere la verità in mano, ogni persona è diversa dall’altra e le nostre reazioni sono differenti, ma spero con queste righe di avervi trasmesso qualche spunto di riflessione che solo voi saprete come utilizzare.
Solo voi potrete decidere cosa fare della vostra vita, come renderla migliore e come darle un senso.
Non sprecatela. E’ troppo preziosa e più passa il tempo più vi renderete conto di non poterla riscrivere come avreste voluto.
Un abbraccio a tutte, ad ogni donna che ho visto piangere, ad ogni donna che ho raggiunto attraverso le mie parole, ad ogni donna che ce l’ha fatta e a tutte quelle che ancora arrancano alla ricerca di sé stesse.
Ricordate sempre che un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno”.

Veronica

Silenzio

Rifletto sull’importanza del silenzio stasera.
Sull’importanza del rispetto, su quanto a volte sia meglio fare un passo indietro che uno di troppo in avanti.
Sono profondamente amareggiata e mi riesce difficile anche scrivere queste righe perché non voglio correre il rischio di “passare dall’altra parte” e diventare una delle tante voci che si permettono di giudicare fatti che non si conoscono, di sentenziare senza averne le competenze, di usare questa brutta vicenda per scopi personali o collettivi.
Esiste il silenzio ma non ce lo ricordiamo mai, neanche quando accadono fatti così gravi. Un silenzio che non vuol dire “omertà” ma che vuol dire rispetto, cordoglio, condivisione intima, preghiera per chi ci crede.
Vuol dire riuscire a mettere da parte il nostro protagonismo, il nostro doverci essere sempre in nome di una malattia poco conosciuta, di una battaglia che dobbiamo portare avanti.
Silenzio, proviamo a fare silenzio una buona volta e ci ricorderemo così anche del rispetto.

L’arte di tacere

“Tacere e’ un’arte
Parla solo quando devi dire qualcosa che vale piu’ del silenzio.
Esiste un momento per tacere, cosi’ come ne esiste uno per parlare.
Il momento di tacere deve venire sempre prima.
Quando si sara’ imparato a mantenere il silenzio, si potra’ parlare rettamente.
Tacere quando si e’ obbligati a parlare e’ segno di debolezza,
ma parlare quando si dovrebbe tacere indic…a leggerezza e scarsa discrezione.
E’ sicuramente meno rischioso tacere che parlare.
L’uomo e’ padrone di se’ solo quando tace:
quando parla appartiene meno a se stesso che agli altri.
Quando devi dire una cosa importante, stai attent
dilla prima a te stesso, poi ripetila,
per non doverti pentire quando l’avrai detta.
Quando si deve tenere un segreto non si tace mai troppo.
Il silenzio del saggio vale piu’ del ragionamento del filosofo.
Il silenzio puo’ far le veci della saggezza per il povero di spirito.
Forse chi parla poco e’ un mediocre, ma chi parla troppo
e’ uno stolto travolto dalla voglia di apparire.
L’uomo coraggioso parla poco e compie grandi imprese:
l’uomo di buon senso parla poco e dice sempre cose ragionevoli.
Siate sempre molto prudenti, desiderare di dire una cosa
e’ spesso motivo sufficiente per tacerla.”

Concretezza

In questa prima mattinata autunnale, una riflessione nasce spontanea.
Dopo mesi di “stacco” dalle attività APE che ho comunque sempre seguito attraverso il forum e la bacheca di Facebook, venerdì sera scorso ho partecipato ad un Convegno a Parma, tema “Endometriosi e i problemi legati all’infertilità”.
Mi sono letteralmente bevuta le parole dei relatori (dott.ri Crovini, Barusi, Ardenti, Tarricone) che ho trovato molto empatici e sensibili verso la malattia e le sue complicanze psico-fisiche.
Ascoltare era un piacere che da tempo mi mancava.
Ascoltare e immagazzinare. Riempire quegli spazi vuoti che a volte sentiamo di avere dentro. Ho provato appagamento nel sentire quelle parole che si andavano ad incastrare nei buchi vuoti della mia psiche e del mio cuore.
Mi sono sentita orgogliosa di appartenere ad un’associazione che metteva a disposizione una serata informativa così ben strutturata. Ho ripensato agli enormi cartelloni che tappezzavano la città e a tutto quello che c’era dietro ad un evento come quello.
Dalla richiesta dei permessi per la sala, alla progettazione grafica per le locandine. Richieste comunali, sponsor da cercare, invitare relatori, invitare associate e non, spedire comunicati stampa, allestire il tavolo informativo e chissà quante altri particolari dimentico di citare.
E mentre ero lì seduta e ascoltavo i relatori, pensavo alle “scaramucce” di cui mi sono nutrita per mesi su Facebook, ai capricci, alle parole pronunciate sopra le righe, alle frecciatine trasversali, alle competizioni.
Ho capito come sia facile perdere il senso della realtà stando sedute comodamente dietro ad un video, a come sia facile giudicare senza sapere, senza capire quanto lavoro decine di donne stanno svolgendo anche per chi non comprende e non riconosce.
Così come ha fatto bene a me partecipare a quel Convegno, penso a quanto farebbe bene a tutte sentirsi nutrire lo spirito da professionisti che sanno come tenderti una mano.
Oggi pretendiamo, vogliamo stare bene a zero energie. Vogliamo un centro specializzato sotto casa, vogliamo un gruppo APE sotto casa, vogliamo la cura giusta senza informarci, senza conoscere il nostro corpo, cosa ci fa star bene, cosa ci fa star male. Vogliamo tutte queste cose stando sedute dietro ad un video. E giudichiamo. Cediamo a tentazioni basse, gareggiamo. Ci riempiamo la giornata di “nulla”, non ci prendiamo cura di noi stesse, cavalchiamo onde fatte di niente e non ricordiamo più cosa sia la concretezza. Non solo non la ricordiamo ma non la riconosciamo. Io stessa non la ricordavo più in ogni sua sfaccettatura. Mi sono stupita l’altra sera della forza che ha un progetto.
La vita deve essere fatta di progetti, molteplici. Deve avere quel senso di concretezza che si ottiene lavorando in prima linea, mettendoci faccia, risorse ed energie.
Basta battere i piedi. Basta criticare. Basta lagnarsi.
Imbocchiamoci le maniche, dimostriamo la nostra forza attraverso le nostre capacità. Spegniamo Facebook e diamo un senso alla nostra quotidianità.

Dignità

Ho ricevuto questo messaggio:
“Ciao Veronica ci conosciamo solo virtualmente. Sono una di quelle ” TANTE STORIE” che qualche anno fa’ tu hai messo sul blog. Beh ti volevo dire che la mia Partita purtroppo l’ho persa ma credo di aver ritrovato la mia dignità”.

Riflettevo dopo aver letto queste righe sulla forza delle parole.
Poche righe che lanciano un input, tante emozioni che riaffiorano.
Cos’è la dignità?
Non è forse la nostra auto-stima? La consapevolezza che abbiamo di noi stesse? Di ciò che siamo diventate, di ciò che diventeremo?
Quando si è malate ci si sente vulnerabili, ci si sente “meno” degli altri. Si perde la capacità di tenere fronte alle situazioni, si perde la forza di fare domande sulla propria condizione o di spiegarla ad altri, di chiedere aiuto, a volte anche di informarsi. Si ha paura di disturbare, di annoiare, di non essere ascoltate.
La dignità viene meno quando ti devi spogliare davanti a sconosciuti, quando come in una catena di montaggio ti fai frugare da tante mani, quando hai bisogno di aiuto per provvedere a te stessa.
La dignità vacilla anche davanti ad altri pancioni, nelle sale d’aspetto di chi ti aiuta a sperare di farcela in cambio di un tuo assegno.
Si incrina a letto con il tuo compagno o a terra nel tuo bagno.
Credo che in quello che sente di aver ritrovato Barbara, ci sia almeno una di queste situazioni da non dover vivere più.
In bocca al lupo Barbara, grazie per questo spunto di riflessione. Ti auguro tanto bene
Veronica